Congedo parentale: licenziato il padre che non si prende cura del figlio

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte di Appello de L'Aquila.

16 GEN 2018 · Tempo di lettura: min.
Congedo parentale: licenziato il padre che non si prende cura del figlio

Un'impresa ha licenziato un lavoratore per aver utilizzato il congedo parentale per altre attività e non per soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali.

Il congedo parentale, secondo quanto riportato dall'Inps, è un "periodo di astensione facoltativo dal lavoro concesso ai genitori per prendersi cura del bambino nei suoi primi anni di vita e soddisfare i suoi bisogni affettivi e relazionali". Si tratta, dunque, di quel periodo di tempo successivo al congedo di maternità che possono chiedere facoltativamente i due genitori. Questo permesso deve essere utilizzato negli interessi del bambino e può essere richiesto entro i primi otto anni di vita di suo figlio. Il lavoratore in congedo parentale, inoltre, percepisce un'indennità pari al 30% della retribuzione solo fino al compimento del terzo anno di età del bambino.

Cosa succede se un lavoratore usufruisce di questo permesso senza però prendersi realmente cura del bambino? È stato questo il tema preso in considerazione dalla recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 509/2018.

La vicenda

La Corte di Appello de L'Aquila, nel 2015, aveva respinto l'impugnazione del licenziamento disciplinare di un lavoratore di una ditta di trasporti. L'uomo, in congedo parentale, secondo le prove apportate dall'impresa tramite un investigatore privato, non aveva svolto alcuna attività a favore del figlio, non utilizzando il permesso con l'obiettivo per cui è stato creato, ossia sostenere i bisogni affettivi e relazionali del figlio. Per questi motivi, l'uomo era stato licenziato per giusta causa. Dopo la sentenza della Corte d'Appello, il lavoratore ha deciso di ricorrere in Cassazione.

La decisione della Corte di Cassazione

Il lavoratore licenziato aveva richiesto il riscorso in Cassazione in quanto affermava che il suo licenziamento fosse completamente illegittimo. L'uomo, infatti, sosteneva che il suo caso non fosse paragonabile alle ipotesi di abuso dei permessi ex lege n. 104/92, tendendo il congedo parentale al soddisfacimento dei bisogni affettivi e relazionali del figlio, diversamente dalle finalità assistenziali nei confronti di soggetti portatori di handicap. In più sottolineava che, attraverso le prove presentate dall'impresa, non era possibile dimostrare che, durante il periodo di congedo parentale, avesse svolto un altro lavoro. Nonostante ciò, la Corte di Cassazione ha confermato la decisione della Corte di Appello di L'Aquila. Quali sono state le motivazioni degli ermellini?

Secondo quanto si legge nella sentenza, la Corte di Cassazione "rileva la condotta contraria alla buona fede, o comunque lesiva della buona fede altrui, nei confronti del datore di lavoro, che in presenza di un abuso del diritto di congedo si vede privato ingiustamente della prestazione lavorativa del dipendente e sopporta comunque una lesione (la cui gravità va valutata in concreto) dell'affidamento da lui riposto nel medesimo, mentre rileva l'indebita percezione dell'indennità e lo sviamento dell'intervento assistenziale nei confronti dell'ente di previdenza erogatore del trattamento economico".

Riguardo all'utilizzo del periodo di congedo parentale, inoltre, gli ermellini hanno specificato che "ciò che conta non è tanto quel che il genitore fa nel tempo da dedicare al figlio quanto piuttosto quello che invece non fa nel tempo che avrebbe dovuto dedicare al minore".

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