Impugnare le sentenze: quale calcolo per il termine lungo?

Le Sezioni Unite della Corte Suprema hanno risolto gli annosi contrasti sul calcolo del termine lungo per impugnare le sentenze.

3 OTT 2016 · Tempo di lettura: min.
Impugnare le sentenze: quale calcolo per il termine lungo?

La data di deposito di una sentenza deve corrispondere, per legge, alla data della relativa pubblicazione; tuttavia nell'esperienza giudiziaria non sempre, a causa di errori degli addetti alle cancellerie, vi è tale corrispondenza, condotta che già la Corte Costituzionale definì "patologia procedimentale grave".

La discordanza fra le due date - quella del deposito e quella della pubblicazione - incide sul calcolo del c.d. termine lungo per impugnare un provvedimento giurisdizionale, da un lato inducendo gli avvocati a calcolare il termine lungo dalla pubblicazione, con rischio di pronuncia di tardività della impugnazione, e dall'altro inficiando concretamente il diritto di difesa in quanto, se si dispone ad esempio di 6 mesi per impugnare ma la sentenza risulta al cronologico dopo 4 mesi, è del tutto evidente che in tal caso viene a ridursi il tempo utile per lo studio per poter redigere un'idonea impugnazione.

Le questioni, perdurando contrasti di merito e di legittimità, che hanno recato non poco disagio nelle vicende processuali ed hanno spesso frustrato legittimi diritti di parti che, incolpevolmente, hanno subito l'ingiustificabile ritardo delle cancellerie, sono giunte all'esame delle Sezioni Unite Civili della S.C..

Nella sentenza n. 13.794 del 2012 le Sezioni Unite avevano precisato che doveva escludersi che il cancelliere possa attestare che una sentenza, già pubblicata per il fatto del suo deposito debitamente certificato, venga ritenuta pubblicata poi, per cui tutti gli effetti giuridici dovrebbero derivare dalla data del deposito.

La recente sentenza n. 18569/16 delle Sezioni Unite, depositata il 22.09.2016 (Primo Presidente dott. Rordorf e consigliere relatore dott.sa Di Iasi) ha argutamente osservato che il precedente indirizzo ermeneutico era volto a "apprezzabilmente preservare il deliberato da qualsivoglia interferenza esterna", tuttavia "lasciando in ombra il profilo della garanzia di effettività del diritto di impugnazione", dal momento che la parte interessata avrebbe potuto anche dopo avere conoscenza dell'avvenuto deposito, potendo soltanto poi la parte interessata, "in presenza di gravi difficoltà" per l'esercizio della difesa proporre ricorso per rimessione in termini al Giudice dell'impugnazione, specie quando la data della pubblicazione fosse avvenuta a notevole distanza di tempo e in prossimità del termine di decadenza per l'impugnazione.

In tale ambito la II° Sezione Civile della S.C. con ordinanza n. 26251/2013 aveva rimesso la questione alla Corte Costituzionale che aveva rigettato la questione sollevata, indicando come il sistema fosse sufficientemente garantito dall'istituto della rimessione in termini, giustificata da uno stato di fatto contra legem non addebitabile alla parte ma all'amministrazione giudiziaria.

La recente sentenza riafferma che "la pubblicazione non è un posterius o comunque una attività diversa dal deposito" dal momento che il cancelliere è obbligato a pubblicare ciò che gli viene immediatamente consegnato, dovendosi preservare la tutela della volontà del Giudice di far pubblicare la sentenza esattamente nel giorno in cui è stata depositata, dal che l'ovvia conseguenza che immediatamente l'atto deve essere inserito nell'elenco cronologico delle sentenze con assegnazione del relativo numero identificativo, per cui è l'inserimento nell'elenco cronologico a costituire il "mezzo" attraverso il quale il deposito può ritenersi compiuto.

Di conseguenza il difensore che ne ha interesse ha l'onere di recarsi in cancelleria per poter richiedere, dopo l'annotazione nell'elenco cronologico, di estrarre copia della sentenza.

Pertanto, in aderenza a tale orientamento, la S.C. ha ritenuto che non debba aprioristicamente né considerarsi la sola prima data, se vi sono date e di deposito e di pubblicazione, né la sola seconda data, ben potendo ricorrersi senza prova documentale, alle presunzioni di cui all'art 2729 c.c. secondo il suo prudente apprezzamento in presenza di indizi gravi precisi e concordanti e ben potendo in ultima analisi farsi ricorso alla regola di giudizio di cui all'art 2697 c.c. spettando all'impugnante provare la tempestività della propria impugnazione.

Vi è un passaggio nella motivazione che pare essere di particolare significato: la Corte Suprema afferma che non possono esservi due "filosofie" a regolare il decorso del termine breve per impugnare, che decorre dalla notificazione della sentenza e quindi dalla sua conoscibilità, ed il decorso del termine lungo, che non può prescindere dalla conoscenza dell'atto da impugnare .

Sembra che questo ultimo arresto giurisprudenziale, disciplinando gli elementi che possono essere valutati dal giudice dell'impugnazione e indicandone anche la gerarchia, possa porre termine alle controversie ermeneutiche insorte nella storia del diritto processuale, donde la inutilità della remissione in termini, questione che era stata altresì sollevata nella controversia definita dalla sentenza delle SSUU della Corte Suprema.

Scritto da

Avv. Alfredo Guarino

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