Trivelle: ora l’Italia rischia una multa dall’UE

Ultimamente se n'è parlato parecchio, ma quali sono le incognite per il nostro paese?

20 APR 2016 · Tempo di lettura: min.
Trivelle: ora l’Italia rischia una multa dall’UE

Il referendum del 17 aprile ha portato fino alle urne 15 milioni e 800 mila italiani, numero insufficiente per il raggiungimento del quorum. Non solo la consultazione non è valida: il Bel paese rischia ora una multa piuttosto salata da parte dell'Unione Europea.

Domenica scorsa ha votato il 32,15% degli aventi diritto. I sì sono stati la maggioranza con l'85,84% delle preferenze contro il 14,16% dei no. Solo in Basilicata è stata superata la soglia minina.

Il referendum abrogativo

C'era in ballo il futuro dello sviluppo energetico del nostro paese con la possibilità di sterzare nella direzione delle fonti rinnovabili. Ma il tema non era di facile comprensione e forse i numerosi aspetti tecnici non hanno reso agile il raggiungimento del quorum.

Il referendum è stato voluto da nove consigli regionali e la norma in questione si trova nella legge di stabilità del 2016. Bisogna precisare immediatamente che oggetto del referendum sono state solo le trivellazioni realizzate entro le 12 miglia marine (circa venti chilometri). Queste costituiscono solo una piccola parte delle trivellazioni italiane, che sono in totale 66 e sono collocate soprattutto al di là delle 12 miglia. Dunque parliamo solo di quelle che si trovano entro circa venti chilometri. Sono nel totale 21: 7 in Sicilia, 5 in Calabria, 3 in Puglia, 2 in Basilicata, 2 in Emilia Romagna, 1 nelle Marche e 1 in Veneto.

Queste trivellazioni vengono eseguite da diverse compagnie estrattive sulla base di un'autorizzazione che ha una durata iniziale di 30 anni. Poi può essere prolungata per due volte, ogni volta per cinque anni. In totale, quindi, durano 40 anni. Che succede dopo i 40 anni? Secondo la normativa finora esistente la concessione decade e la trivellazione si conclude. Ed ecco che entra in gioco il provvedimento del governo Renzi: la norma introdotta nella legge di stabilità dice che anche quando il periodo accettato finisce, l'attività può essere protratta fino alla durata di vita vantaggiosa del giacimento, cioè fino a quando non si esaurisce.

Questo è il punto: i referendari volevano che questa novità venisse eliminata per tornare al termine "naturale" delle concessioni. Importante porre l'accento sul fatto che il quesito, oltre a ignorare le trivellazioni oltre le 12 miglia, non toccava nemmeno possibili nuove trivellazioni entro le 12 miglia che sono, e restano, vietate per legge.

Si è trattato, quindi, di determinare la sorte delle trivellazioni già esistenti.

I contrari hanno avanzato dubbi per possibili ripercussioni sull'occupazione e sul fabbisogno energetico. Il si è stato sostenuto da una rete di comitati noti genericamente come No Triv; il loro messaggio punta alla scelta di campo in tema di energia. Per loro è tutto molto chiaro: il futuro deve essere sostenibile.

E ora? Ora l'Italia rischia una multa

Stando al parere di Enzo di Salvatore, del Coordinamento Nazionale No Triv, il già citato emendamento contraddice la normativa europea sulla libera concorrenza.

La legge italiana, infatti, ammette che i titoli già concessi possano essere estesi fino "alla durata di vita utile del giacimento", mentre la direttiva 94/22/CE va in senso opposto, pronunciando regole per assicurare competitività economica e accessibilità non discriminatoria alle attività di esplorazione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi. In due parole: libero mercato. Un libero mercato in nome del quale la norma europea prescrive che

«la durata dell'autorizzazione non superi il periodo necessario per portare a buon fine le attività per le quali essa è stata concessa».

Secondo questo principio, quindi, non si possono concedere permessi a tempo indeterminato. Le proroghe sono ammissibili, ma solo in via del tutto eccezionale.

Sotto accusa è l'articolo 1, comma 239, della legge 208 del 28 dicembre 2015. Vale a dire la legge di Stabilità 2016 che permette, come accennato, di rinviare la durata delle autorizzazioni per l'estrazione di idrocarburi entro le 12 miglia marine dalla costa. La deliberazione odierna infrangerebbe la Convenzione di Aarhus e la direttiva 94/22/CE (accolta dall'Italia con il decreto legislativo 625 del 25 novembre 1996), sui presupposti di rilascio e di esercizio delle autorizzazioni alla prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi. La norma europea impone che la durata dell'autorizzazione non oltrepassi il periodo necessario.

Nei giorni scorsi, Barbara Spinelli (GUE/NGL) ha inviato alla Commissione europea un'interrogazione scritta concernente la norma del referendum "sospetta di illegittimità".

C'è infine un'altra questione in sospeso per i No Triv: le concessioni scadute per le trivelle nell'adriatico. Alcune scadute a fine 2015, altre nel 2009. Le società avevano chiesto le proroghe, il Ministero ancora non aveva risposto ma si continuava a trivellare.

«L'iniziativa contro le trivelle ripartirà con più forza di prima»,

scrive il coordinamento nazionale No Triv.

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Scritto da

Francesca Pani

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