legge 3 del 1982 e legge 97 del 1994

Inviata da claudia casula. 20 mar 2018 Eredità

La mia bisnonna è MORTA NEL 1972. ERa proprietaria di una tenuta agricola attualmente gestita da due dei sei eredi, gli unici due ad essere coltivatori diretti. I due stanno offrendo agli altri coeredi dei canoni di affitto forzoso. Considerato che gli eredi che gestiscono il fondo sono in realta' affetti da gravi problemi di salute (oltre che molto anziani) chiedevo se fosse possibile, come coerede, dimostrando che la coltivazione del fondo non sta avvenendo , interrompere il contratto di affitto e richiedere di poter utilizzare una parte dei terreni (per un'attivita' agricola da aprire ad hoc), anche per impedire l'ipotesi di acquisto forzoso. Segnalo che, negli anni, parte dei terreni sono stati espropriati dal comune e divenuti edificabili

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Gentilissima Signora Claudia,
incuriosito dalla particolarità dell'argomento della Sua domanda ho trovato un riferimento che potrebbe essere interessante rispetto a quanto Lei richiede.
Le incollo compreso il link per raggiungere l'articolo , una parte del testo che pare , appunto, valorizzare una possibilità quale quella che Lei ipotizza.


Ad oggi la successione agraria trova disciplina in seno all’art. 49, co. 1, L. n. 203/1982, secondo il quale “nel caso di morte del proprietario di fondi rustici condotti o coltivati direttamente da lui o dai suoi familiari, quelli tra gli eredi che, al momento dell’apertura della successione, risultino avere esercitato e continuino ad esercitare su tali fondi attività agricola, in qualità di imprenditori a titolo principale ai sensi dell’articolo 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153, [rectius, imprenditore agricolo professionale ex art. 1 d.lgs. n. 99/2004] o di coltivatori diretti, hanno diritto a continuare nella conduzione o coltivazione dei fondi stessi anche per le porzioni ricomprese nelle quote degli altri coeredi e sono considerati affittuari di esse”.
La successione agraria, di tal guisa, rappresenta, in un certo qual modo, continuazione di una attività professionale esercitata sul fondo, con la precipua funzione di assicurare la continuità nella titolarità di un ordinamento produttivo, qual è l’impresa, latu sensu, agricola. Gli interventi legislativi volti a preservare la continuità delle unità agricole si sono ispirati, quindi, a modificare la vocazione mortis causa in ordine a tali beni e, più frequentemente, a dettare regole di attribuzione preferenziale in sede di divisione.
La lettera della norma di cui all’art. 49 incentra tutta la disciplina sull’esigenza di garantire la continuità dell’attività imprenditoriale esercitata sul fondo e quindi di garantire la continuazione dell’attività esercitata su di esso. Ma, andando al di là del semplice dato letterale, la norma de qua sembrerebbe altresì valorizzare, oltre alle posizioni effettive di lavoro, anche l’attività agricola nel più ampio contesto dell’interesse pubblico alla conservazione dell’iniziativa economica intrapresa su quel fondo ed alla stabilità della famiglia coltivatrice ivi insediata.
Riassumendo quanto sin qui detto, alla luce delle considerazioni appena svolte, duplice è la ratio della norma in commento: da un lato preservare l’unità del fondo, inteso come mezzo di produzione nel più ampio interesse pubblicistico della collettività e dell’economia nazionale; dall’altro, preservare i mezzi di sostentamento idonei alla sopravvivenza della famiglia ivi insediata, nell’ambito della tutela del diritto all’esplicazione della propria personalità (art. 2 Cost.) e della tutela del diritto al lavoro (art. 4 Cost).
Ai fini dell’applicazione dell’art. 49, si rendono necessari due requisiti soggettivi: in primis la qualità di erede, ed in secondo luogo quella di aver esercitato ed esercitare sui fondi attività agricola, in qualità di imprenditore a titolo principale o di coltivatore diretto. E’di per sé evidente la rilevanza dell’elemento fattuale, risiedente nella necessità di dimostrare che quello che tra gli eredi vuole servirsi del regime di cui all’articolo in commento, oltre che rivestire le qualità richieste dalla norma, deve aver svolto e deve continuare a svolgere attività agricola sul fondo: la disposizione, in effetti, non richiede che gli affittuari assumano formalmente l’impegno alla continuazione dell’attività, rilevando piuttosto il semplice fatto dello svolgimento della coltivazione o della conduzione.
Tale attività, tuttavia, deve essere svolta da soggetti altamente qualificati, identificati dalla legge nell’imprenditore agricolo professionale e nel coltivatore diretto: il cessionario viene identificato, oltre che per il legame con il defunto, fondato sul vincolo familiare, anche dalla attitudine a gestire il fondo: si tratta di una circostanza ulteriore rispetto alla semplice qualità di erede, valutata presuntivamente per il possesso dei requisiti soggettivi.
Ora c’è da chiedersi se questa valutazione, presuntivamente compiuta dalla norma – la quale considera i soli imprenditori agricoli professionali ed i soli coltivatori diretti idonei alla gestione di un fondo agricolo – sia o meno superabile: è possibile assimilare a tali due figure anche ulteriori soggetti che, pur avendo la asserita attitudine a gestire il fondo, non rientrino nelle categorie individuate dalla norma?
Per il Tribunale di Avellino, Sezione Specializzata Agraria, (sentenza n. 707 del 22.03.2016) tale presunzione sembrerebbe superabile, qualora il soggetto che voglia rivendicare la propria qualità di successore legittimo dimostri che, al di là delle “etichette” e delle formalità, possegga quelle qualità che gli permettono di gestire il fondo, al pari di un coltivatore diretto o di un imprenditore agricolo, alla luce della ratio dell’art. 49 L. n. 203/1982, volta a preservare l’unità del fondo – come mezzo di produzione e di lavoro – e la sopravvivenza della famiglia insediata su di esso.

Saluti cordiali

Avv. Antonio Cesarini Avvocato a Bergamo

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