Causa ereditaria. Legale difende l’assistita e al contempo la cita in giudizio
Egregi avvocati,
la questione attiene all’eredità di due sorelle che hanno perso l’unico genitore: la madre. Una delle due ha accettato tacitamente l’eredità disponendo di un conto cointestato con la madre deceduta e di un immobile di proprietà della defunta; l’altra vive a centinaia di chilometri ed è una chiamata all’eredità.
La parte che ha accettato tacitamente si è rivolta al proprio legale di fiducia al fine di ottenere il rimborso del pagamento delle spese funerarie che avrebbe sostenuto e dunque, dopo un solo mese dal decesso e beneficiando del patrocinio a spese dello Stato, ha citato in giudizio la sorella. Tuttavia, tali spese non sono state comprovate da fattura e relativa quietanza di pagamento, bensì pretese unicamente sulla base di un preventivo (palesemente gonfiato) dell’agenzia funebre.
L’avvocato succitato ha omesso tra l’altro di esperire la procedura di mediazione.
Dopo due mesi, lo stesso legale ha citato in giudizio entrambe le sorelle sostenendo di vantare crediti di oltre ventimila euro per aver difeso la defunta quand’era in vita.
È doveroso premettere che la parte che ha accettato tacitamente l’eredità, di concerto con l’avvocato in questione, intende indurre la sorella a rinunciare all’eredità, sebbene abbia dieci anni di tempo per decidere.
Ciononostante, questo abuso di strumenti processuali sta spingendo la chiamata all’eredità a rinunziare definitivamente al suo diritto.
Orbene, il legale che difende l'assistita e al tempo stesso la cita in giudizio è passibile di conseguenze disciplinari?
In questo caso, quali sono le tutele esperibili per difendersi da simili scorrettezze e per difendere il diritto alla quota di legittima?