L'obiezione di coscienza medica e la legge 194/78

È illegittimo il rifiuto del medico alla prestazione sanitaria della prescrizione della pillola del giorno dopo.

3 NOV 2015 · Tempo di lettura: min.
L'obiezione di coscienza medica e la legge 194/78

Prestazione sanitaria e prescrizione della pillola del giorno dopo: cosa prevede la legge a riguardo?

L'obiezione di coscienza è prevista dall'art. 9 dalla legge 194 del 1978:

Articolo 9. «Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 e agli interventi per l'interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione. La dichiarazione dell'obiettore deve essere comunicata al medico provinciale e, nel caso di personale dipendente dell'ospedale o dalla casa di cura, anche al direttore sanitario, entro un mese dall'entrata in vigore della presente legge o dal conseguimento dell'abilitazione o dall'assunzione presso un ente tenuto a fornire prestazioni dirette all'interruzione della gravidanza o dalla stipulazione di una convenzione con enti previdenziali che comporti l'esecuzione di tali prestazioni».

La legge 194/78 disciplina la pratica dell'interruzione volontaria della gravidanza.

È interessante correlare detto articolo con la sua applicazione pratica in relazione, soprattutto, al frequente rifiuto alla prescrizione medica della cosiddetta "pillola del giorno dopo".

Prima di analizzare tale aspetto pratico è opportuno sciogliere un dubbio interpretativo ovvero se la cosiddetta "pillola" sia da considerarsi abortiva ovvero contraccettiva.

Ebbene, a tal scopo, esemplare è la sentenza n. 8465/2001 emessa dal Tar del Lazio:

«Il decreto che autorizza la commercializzazione del "Norlevo" non contrasta con la legge n. 194/1978, poiché il farmaco autorizzato agisce con effetti contraccettivi in un momento anteriore all'innesto dell'ovulo fecondato nell'utero materno. Detta evenienza resta sottratta alla regolamentazione dettata dalla legge richiamata che, come in precedenza esposto, assume a riferimento una condizione fisiologica della donna di stabile aspettativa di maternità cui soccorrono, in presenza di una volontaria e consapevole scelta interruttiva, specifici interventi di assistenza sul piano sanitario e psicologico.Come, del resto, illustrato dalle parti resistenti, il farmaco "Norlevo" esplica effetti di prevenzione della gestazione al pari di altri usuali metodi contraccettivi, quale lo "IUD" o spirale, che parimenti mirano a inibire l'impianto dell'ovulo fecondato e in ordine ai quali non si pone questione circa la qualificazione come pratiche abortive eccedenti i limiti stabiliti dalla legge n. 194/1978».

Da quanto statuito dal Tar Lazio la pillola Norlevo è da considerarsi un contraccettivo post-coitale, d'emergenza in quanto questa agisce alternativamente prevenendo l'ovulazione o, qualora l'ovulo sia già stato fecondato, modificando la cavità uterina in modo da impedire l'annidamento dell'ovulo stesso. Se, invece, l'annidamento è già avvenuto, e quindi è iniziata una gravidanza, la PDGD non produrrà alcun effetto. Dunque, non potrà mai avere efficacia abortiva.

Con la legge 194/78, per altro, il legislatore ha inteso quale evento interruttivo della gravidanza quello che interviene in una fase successiva all'annidamento dell'ovulo nell'utero materno. Tale conclusione è avvalorata dall'art. 8 della legge n. 194/1978 che in dettaglio prende in considerazione le modalità interruttive della gravidanza e ne impone l'effettuazione con l'intervento di un medico specialista ed all'interno di strutture ospedaliere o case di cura autorizzate, circostanze non peculiari alle metodiche anticoncezionali i cui effetti si esplicano in una fase anteriore all'annidamento dell'ovulo.

Da tanto discende la considerazione che il rifiuto del medico alla prescrizione del farmaco Norlevo facendo riferimento all'obiezione di coscienza deve considerarsi non legittimo. Tanto in quanto, secondo quanto detto poc'anzi, con l'uso della "pillola del giorno dopo" non vi è alcuna pratica abortiva, di conseguenza il riferimento a quanto sancito dall'art. 9 della legge 194 nell'opporre il rifiuto alla prestazione sanitaria richiesta è improprio.

Appare interessante, a questo punto, approfondire l'aspetto del rifiuto alla prestazione medica secondo il codice deontologico medico il quale recita:

Articolo 19. Rifiuto d'opera professionale. «Il medico, al quale vengano richieste prestazioni che contrastino con la sua coscienza o con il suo convincimento clinico, può rifiutare la propria opera, a meno che questo comportamento non sia di grave e immediato nocumento per la salute della persona assistita».

Nel caso della richiesta di prescrizione della PDGD il medico non può sottrarsi neppure facendo leva sulla propria deontologia, difatti seppur sia vero che il medico possa rifiutarsi alla prestazione sanitaria è altrettanto vero che lo stesso rifiuto debba essere oggetto di "bilanciamento" tra il diritto del paziente (il cui codice all'art. 17 ne impone il rispetto) e l'autonomo convincimento del medico.

Se il Tar Lazio nella citata decisione considera la situazione in cui versa una donna nel momento in cui richiede la prescrizione della Pdgd uno stato di emergenza ovvero presupposto per la somministrazione del "Norlevo" che quindi va considerata in senso strettamente oggettivo - e cioè come evento critico, suscettibile di introdurre la possibilità di una gravidanza non desiderata, cui si intende porre rimedio con carattere di immediatezza - indipendentemente dal grado di volontarietà o colpa dell'interessato nel determinarlo; ciò in base ad un criterio che è comune alla somministrazione di ogni presidio terapeutico, che ha luogo in base al dato obiettivo della condizione fisiologica dell'individuo prescindendo da ogni valutazione circa il concorso psichico dello stesso nel determinarne le cause". È da rilevare come secondo quanto disposto dall'art. 19 del codice deontologico medico il sanitario non possa sottrarsi dall'effettuare il bilanciamento di cui si è detto.

Dunque, considerata l'obiettiva situazione di emergenza dovrebbe il medico, nel rispetto del diritto della paziente, effettuare una valutazione (seppur non trattandosi di pratica abortiva) concentrandosi sulla salute della paziente e dunque, offrire la prestazione sanitaria il cui diniego risulterebbe dissonante anche con il codice deontologico. Il rifiuto alla prescrizione della pillola del giorno dopo appare del tutto illegittimo anche sotto questo aspetto.

Per quanto riguarda l'illiceità civile del rifiuto alla prestazione sanitaria è sicuramente riconducibile nell'alveo dell'art. 2043 del codice civile:

Articolo 2043. Risarcimento per fatto illecito. «Qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno».

La condotta contra legem posta in essere attraverso il diniego della prescrizione medica provoca un danno ingiusto alla donna (qualora la gravidanza inizi) e configura, per di più, una condotta qualificabile come eventualmente dolosa.

Sotto tale ultimo profilo sarebbe ipotizzabile nel comportamento dei medici dichiaratisi obiettori di fronte ad una richiesta di prescrizione del Norlevo e dunque di rifiuto alla prescrizione come "abuso d'ufficio" perché in qualità di incaricati di un pubblico servizio negando la prescrizione arrecano un danno ingiusto (seppur eventuale) alla donna compiendo un atto vietato da disposizioni di legge.

Altro reato ipotizzabile sarebbe il rifiuto d'atti d'ufficio poiché, sempre nella loro qualità di incaricati di un pubblico servizio, illegittimamente rifiutano un atto che deve essere compiuto senza ritardo. Il medico è infatti titolare di un obbligo giuridico di impedire un evento dannoso per il paziente, ed è responsabile non soltanto se l'azione che aveva il dovere di compiere, e che ha omesso, avrebbe quasi certamente impedito la lesione, ma anche quando essa avrebbe potuto ridurre il pericolo di lesione del bene protetto.

Appare doveroso, una volta chiarito come sia illegittimo, sotto vari profili, il rifiuto del medico alla prestazione sanitaria richiesta in relazione alla prescrizione della Pdgd, sottolineare la illegittimità del comportamento del farmacista che omette di fornire il farmaco prescritto.Il comportamento del farmacista, è penalmente rilevante in ragione combinato disposto di cui all'art. 328, comma 1, c.p. (Rifiuto d'atti d'ufficio), e all'art. 38 del R.D.del 30 settembre 1938, n. 1702, il quale, nel testo vigente, recita:

"I farmacisti non possono rifiutarsi di vendere le specialità medicinali di cui siano provvisti e di spedire ricette firmate da un medico per medicinali esistenti nella farmacia. I farmacisti richiesti di specialità medicinali nazionali, di cui non siano provvisti, sono tenuti a procurarle nel più breve tempo possibile, purché il richiedente anticipi l'ammontare delle spese di porto".

Scritto da

Avv. Matrimonialista MARINA LIGRANI

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