Conviene fare ricorso in appello?
La situazione è la seguente. Un imputato per il reato di stalking alla fine del primo grado viene condannato a due anni a fronte di una richiesta di tre anni richiesta dal PM e di una “pena congrua” fatta dall’avvocato di parte civile (perdonatemi se intervengo ma, chiedere alla giudice una “congrua pena” sa un po' di fifa cioè come dire “giudice vedetevela voi io non voglio fare richieste chiedo solo che sia condannato, sull’entità della pena vedetevela voi”). Ecco, passano di 90 giorni che si è presa la giudice per il deposito delle motivazioni. Poi ci sono i 45 giorni (comprensivi di festivi) in cui una delle parti (anche tutte e tre veramente) possono proporre ricorso presso la corte d’appello avverso la sentenza impugnando le motivazioni o qualsiasi altra cosa abbiano in “mano”. Ora dico questo. L’imputato, che fino a quel momento era ai domiciliari con braccialetto elettronico e che dovrebbe andare in carcere (recidivo di altre pene quindi non puo’ beneficiare della pena sospesa), se propone ricorso il suo avvocato non va in carcere perché non passa in giudicato e quindi si fa almeno altri otto mesi ai domiciliari in attesa del processo di secondo grado, che magari gli va pure bene. Il PM o la parte civile se ricorrono in appello fanno un “piacere” all’imputato? Cioè, mi spiego meglio. L’avvocato dell’imputato al suo assistito dice che gli è andata fin troppo di lusso e che un eventuale ricorso in appello non avrebbe benefici in termini di riduzione della pena. Il PM, o la parte civile, O entrambi, ricorrono in appello. In questo caso in attesa della pronuncia del secondo grado di giudizio l’imputato resta ai domiciliari o deve (anche se con pena non ancora definitiva grazie all’appello del PM) andare in carcere? Perché in una situazione del genere, considerando che dal momento del ricorso all’appello passano mediamente tra gli otto mesi ai 12 mesi. Questi se pure gli fosse data una pena più grave rischia di farseli tutti di domiciliari.