Part-time e secondo lavoro: il datore di lavoro non può vietarlo

Secondo i giudici, un datore di lavoro non ha diritto di interferire nella decisione di un lavoratore part-time di dedicarsi ad una seconda occupazione al di fuori degli orari di lavoro.

1 AGO 2017 · Tempo di lettura: min.
Part-time e secondo lavoro: il datore di lavoro non può vietarlo

Un lavoratore part-time ha la possibilità di avere una seconda occupazione o è incompatibile con il lavoro principale? Ecco la sentenza della Corte di Cassazione.

In quest'epoca di crisi economica, non è raro trovare persone che, per sbarcare il lunario, facciano più di un lavoro al giorno. È il caso, ad esempio, di chi ha un'occupazione part-time e che esegue anche una seconda professione. Tuttavia, non sempre i datori di lavoro sono d'accordo con il fatto che i propri dipendenti abbiano un doppio lavoro. Secondo la sentenza n. 13196/17 della Corte di Cassazione, però, in generale, non è possibile vietare un secondo lavoro a meno che non sia accertata l'incompatibilità fra le due professioni, ad esempio per quanto riguarda l'orario di lavoro. Questa incompatibilità può essere stabilita anche attraverso un processo giudiziale.

Il caso e la sentenza

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso di un lavoratore di un patronato con contratto part-time che era stato licenziato per giusta causa proprio per avere un secondo impiego. Nel processo di appello, i giudici avevano accettato le ragioni del datore di lavoro che aveva affermato che l'altro lavoro del dipendente era incompatibile con il principale. Secondo le clausole del regolamento contrattuale, infatti, il lavoro presso il patronato non poteva essere svolto in concomitanza con altri impieghi pubblici o privati.

Gli ermellini, invece, hanno rigettato questa sentenza ritenendo che il secondo lavoro, svolgendosi fuori dall'orario dell'altro impiego, che fosse compatibile. La Corte di Cassazione, infatti, ha accettato il ricorso del lavoratore in quando il datore di lavoro, nel giudizio precedente, non aveva spiegato le ragioni dell'incompatibilità né tantomeno aveva accusato il dipendente di "sviamento di clientela, nè di attività concorrenziale, nè di assenze dal posto di lavoro finalizzate allo svolgimento di altra attività lavorativa". In quanto alla clausola contrattuale presa come motivo, questa si limitava solamente a sottolineare la presunta incompatibilità con "qualunque altro impiego sia pubblico che privato".

Secondo i giudici, dunque, un datore di lavoro non ha diritto di interferire nella decisione di un lavoratore part-time di dedicarsi ad una seconda occupazione al di fuori degli orari di lavoro. Se esiste una reale incompatibilità, infatti, dovrebbe essere verificata caso per caso. In questo caso, l'incompatibilità deve essere valutata secondo gli articoli 2106 e 2119 del Codice Civile riguardo, ad esempio, il recesso per giusta causa.

Infine, i giudici della Corte di Cassazione hanno affermato che: "ammettere che il datore di lavoro abbia una facoltà incondizionata di negare l'autorizzazione o di sanzionare in sede disciplinare il fatto in sè dell'esercizio di un'altra attività lavorativa al di fuori dell'orario di lavoro sarebbe in contrasto con il principio del controllo giudiziale di tutti i poteri che il contratto di lavoro attribuisce al datore di lavoro, e proprio con riferimento ad aspetti incidenti sul diritto al lavoro. L'incompatibilità deve essere verificata caso per caso, proprio nei termini pretesi dall'odierno ricorrente, restando tale valutazione suscettibile di controllo, anche giudiziale".

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