Instabilità mentale e condanne

Il concetto di “instabilità mentale” non vuol dire granché a livello giuridico, non esprimendo compiutamente la situazione di fatto a cui applicare le norme di diritto, nello specifico gli artt. 85 e ss. del c.p..
Restando, dunque, sul generico, possiamo ricordare che per essere condannanti penalmente è necessario, oltre ad essere responsabili del fatto anche esserne “colpevoli”, in quanto imputabili al momento dello stesso, diversamente nessuna “rimprovero” è movibile all’agente, che risulta conseguentemente non punibile.
Per essere “imputabili”, poi, è necessario essere “capaci di intendere e di volere”, vale a dire in grado di comprendere il significato delle proprie azioni – nel caso di reato, il loro disvalore penale – e insieme essere normalmente dotati di inibitori psico-morali di volontà, che consentano di trattenersi dal compiere un’azione, una volta compresa come riprovevole.
La mancanza totale di tale capacità comporta la non imputabilità e la non condannabilità, salva l’applicazione delle idonee misure di sicurezza; la mancanza sol parziale comporta una diminuzione della pena.
In definitiva, risulta chiaro che non ogni tipologia di disturbo o disagio mentale o della personalità risultano idonee a determinare la mancanza dell’imputabilità penale, ma solo quelle condizioni di psicopatologia, che il codice penale chiama “vizi di mente”, ossia tali da indurre il predetto stato di incapacità di intendere e di volere, sia per sintomatologie intrinseche che per grado di affezione del soggetto.

Avv. Gianluca Bergamaschi.