Illegittimità cessione ramo di azienda e licenziamento post reintegro

Inviata da Ester. 5 feb 2020

Buongiorno,
a seguito della sentenza di primo grado che dichiara illegittima la cessione di ramo di azienda, la Cedente ha offerto ai ricorrenti 12 mensilità per conciliare e "informato" che in caso i ricorrenti volessero a tutti i costi essere reintegrati aprirebbero immediatamente procedura di mobilità seguita da licenziamento.

Il licenziamento sarebbe motivato dal fatto che le attività svolte dai ricorrenti prima della cessione non sono più svolte dalla cedente. Tuttavia, nei 2 anni successivi alla cessione, la cessionaria ( e quindi i ricorrenti) ha continuato a lavorare e a fatturare ore alla cedente in virtù di alcuni contratti con aziende terze che non hanno riconosciuto la cessione del contratto.

Sarebbe un licenziamento per giusta causa? E' giusto minacciare un lavoratore in seguito a una sentenza di reintegro?

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Gentile SIgnora,
il quesito che Lei pone, ed in particolare dal secondo paragrafo, mi pare di dover dedurre che il giudice abbia ritenuto che, in luogo della cessione di un ramo di azienda, si fosse trattato in realtà di una mera somministrazione di manodopera, dissimulata mediante una apparente cessione di ramo d’azienda, con contestuale appalto di servizi dall’impresa cedente (in qualità di committente) alla cessionaria (in qualità di appaltatrice).

 

Per effetto di ciò, il giudice avrebbe ordinato la reintegrazione  dei ricorrenti nel posto di lavoro presso la cedente, in qualità di effettivo imprenditore/datore di lavoro.

Se così è, il giudice dovrebbe avere altresì liquidato un risarcimento del danno in favore dei lavoratori e tale risarcimento del danno, unitamente al diritto alla reintegrazione (ovvero al trattamento alternativo, pari a 15 mensilità), sono attualmente dovuti ai lavoratori; dunque una trattativa sul possibile nuovo licenziamento da parte dell’impresa cedente dovrebbe prescindere da quanto già spetta in base alla sentenza, e pertanto sommarsi ad esso.
 
In ogni caso, se l’azienda cedente licenziasse nuovamente il dipendenti motivando il recesso sull’abbandono dell’attività di cui si tratta, non si tratterebbe di giusta causa, che è (nella quasi totalità dei casi) di natura soggettiva, bensì di (asseritamente) giustificato motivo oggettivo. Quanto alla prospettazione di un possibile diritto da parte dell’Azienda, essa, di per sé sola, non può qualificarsi come minaccia e si inserisce nella normale contrapposizione in sede di trattativa.
 
Rilevo però che, essendovi stato un giudizio, nel quale i lavoratori sono stati ovviamente difesi da un avvocato, è a tale avvocato che dovrebbe porsi il quesito che Lei formula e, secondo le sagge regole della deontologia forense, né io né alcun altro avvocato può legittimamente interloquire in merito e men che meno assumere un incarico professionale fin tanto che Lei e/o i lavoratori interessati non abbiano eventualmente deciso di revocare il mandato difensivo al Collega che ha patrocinato la causa. E francamente, considerato che la causa ha avuto esito positivo sarebbe alquanto singolare.
Spero di aver comunque risposto alla Sua domanda .
Cordiali saluti

Avv. Emanuela Pesce Avvocato a Milano

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Gentile Signora,

Dal quesito che Lei pone, ed in particolare dal secondo paragrafo, mi pare di dover dedurre che il giudice abbia ritenuto che, in luogo della cessione di un ramo di azienda, si fosse trattato in realtà di una mera somministrazione di manodopera, dissimulata mediante una apparente cessione di ramo d’azienda, con contestuale appalto di servizi dall’impresa cedente (in qualità di committente) alla cessionaria (in qualità di appaltatrice).

Per effetto di ciò, il giudice avrebbe ordinato la reintegrazione dei ricorrenti nel posto di lavoro presso la cedente, in qualità di effettivo imprenditore/datore di lavoro.

Se così è, il giudice dovrebbe avere altresì liquidato un risarcimento del danno in favore dei lavoratori e tale risarcimento del danno, unitamente al diritto alla reintegrazione (ovvero al trattamento alternativo, pari a 15 mensilità), sono attualmente dovuti ai lavoratori; dunque una trattativa sul possibile nuovo licenziamento da parte dell’impresa cedente dovrebbe prescindere da quanto già spetta in base alla sentenza, e pertanto sommarsi ad esso.

In ogni caso, se l’azienda cedente licenziasse nuovamente il dipendenti motivando il recesso sull’abbandono dell’attività di cui si tratta, non si tratterebbe di giusta causa, che è (nella quasi totalità dei casi) di natura soggettiva, bensì di (asseritamente) giustificato motivo oggettivo. Quanto alla prospettazione di un possibile diritto da parte dell’Azienda, essa, di per sé sola, non può qualificarsi come minaccia e si inserisce nella normale contrapposizione in sede di trattativa.

Rilevo però che, essendovi stato un giudizio, nel quale i lavoratori sono stati ovviamente difesi da un avvocato, è a tale avvocato che dovrebbe porsi il quesito che Lei formula e, secondo le sagge regole della deontologia forense, né io né alcun altro avvocato può legittimamente interloquire in merito e men che meno assumere un incarico professionale fin tanto che Lei e/o i lavoratori interessati non abbiano eventualmente deciso di revocare il mandato difensivo al Collega che ha patrocinato la causa. E francamente, considerato che la causa ha avuto esito positivo, una simile decisione apparirebbe piuttosto sorprendente.

Cordiali saluti.

Avv. Emanuela Pesce Avvocato a Milano

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