Tatuaggi e lavoro? Non necessariamente sono motivo di non idoneità

La donna si era sottoposta a un trattamento laser per la rimozione del tatuaggio per poter lavorare come agente penitenziario.

17 DIC 2019 · Tempo di lettura: min.
Tatuaggi e lavoro? Non necessariamente sono motivo di non idoneità

Al giorno d’oggi, avere un tatuaggio per motivi estetici è un fenomeno piuttosto diffuso. Non è raro, infatti, vedere persone con piccoli e grandi tatuaggi anche sul posto di lavoro. Nonostante ciò, non tutte le professioni permettono di mostrare l’inchiostro sulla pelle. È il caso di alcuni lavori, come ad esempio quello di agente penitenziario. È sempre necessario rimuovere il tatuaggio anche se l’uniforme lo copre? Ecco cosa ha sancito il Tar del Lazio con la sentenza n. 13315/2019.

La vicenda

Una donna aveva partecipato al concorso per l’assunzione di 80 posti femminili nel Corpo di Polizia Penitenziaria. Nella graduatoria finale si era classificata come "idonea non vincitrice". Successivamente, come si legge nella sentenza, "il D.L. n. 244/2016, convertito con Legge 27 febbraio 2017, n. 19, nel prorogare i termini di validità della graduatoria in parola, autorizzava il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria a procedere ad assunzioni nel ruolo iniziale del Corpo di Polizia Penitenziaria mediante lo scorrimento delle graduatorie degli idonei non vincitori dei concorsi precedentemente indetti dalla medesima Amministrazione".

Nonostante ciò, quando la donna era stata convocata per essere sottoposta all’accertamento del possesso dei requisiti psico-fisici, non era stata ritenuta idonea a causa della presenza di un tatuaggio. Secondo l’articolo 123 dell’Ordinamento del personale del Corpo di polizia penitenziaria, infatti, "I tatuaggi sono motivo di non idoneità quando, per la loro sede o natura, siano deturpanti o per il loro contenuto siano indice di personalità abnorme".

La donna proponeva ricorso e chiedeva un ulteriore accertamento della Commissione Medica di seconda istanza. Prima della suddetta visita, aveva iniziato a sottoporsi ad un trattamento laser per la rimozione del tatuaggio. Nonostante ciò, nel secondo accertamento veniva giudicata nuovamente "non idonea" per lo stesso motivo relativo al tatuaggio. Di conseguenza, la donna ha impugnato il provvedimento, chiedendone l’annullamento.

La decisione del Tar del Lazio

Con la sentenza n. 13315/2019, il Tar del Lazio ha accolto il ricorso della donna. La sentenza ricorda che il Ministero della Giustizia con la circolare DAP 0219217 – 2007, riguardante l’"Uso dei tatuaggi del personale del Corpo di Polizia Penitenziaria" aveva sancito che "non costituisce causa di inidoneità, sia all’ingresso che alla permanenza nel Corpo, l’esistenza di tatuaggi che siano coperti dall’uniforme, sia essa invernale che estiva, maschile o femminile (salvo il caso disciplinato dal citato art.123, comma 1, lett.c) , d.lvo 443/1992: presenza di tatuaggi deturpanti o indici di personalità abnorme riscontrata in sede di assunzione)".

Nella vicenda in esame, l'esclusione della ricorrente era stato motivato per "tatuaggio esimente per sede". Tuttavia, la sentenza del Tar ricorda che "In realtà, come risulta dalla memoria e dalla allegata documentazione depositata in giudizio da parte ricorrente, il tatuaggio era in corso di rimozione e quindi assimilabile ad una cicatrice, senza che l’amministrazione abbia rilevato qualità o caratteristiche rilevanti ai sensi dell’art. 123, comma 1, lett. c), che richiede a tali fini che le cicatrici siano “infossate ed aderenti, alteranti l’estetica o la funzione”".

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