Nipote condannato per non prendersi cura della zia inabilitata

Nonostante percepisse metà della sua pensione della zia, il nipote non accudiva l'anziana inabilitata.

17 DIC 2019 · Tempo di lettura: min.
Nipote condannato per non prendersi cura della zia inabilitata

Prendersi cura dei propri cari è un dovere morale che si può trasformare anche in un dovere legale se la persona in questione è un minore o una persona incapace di cui si ha la custodia o di cui si deve avere cura. Se si viene meno ai propri doveri, infatti, secondo l’articolo 591 del codice penale, si incorre nel reato di "Abbandono di persone minori o incapaci". Il primo comma sancisce che:

"Chiunque abbandona una persona minore degli anni quattordici, ovvero una persona incapace, per malattia di mente o di corpo, per vecchiaia, o per altra causa, di provvedere a se stessa, e della quale abbia la custodia o debba avere cura, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni".

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 49318/2019, ritorna su questo tema, condannando un nipote che, nonostante percepisse metà della sua pensione, non si prendeva cura della zia inabilitata.

La vicenda

Sia il tribunale di primo grado che la Corte di appello di Palermo avevano condannato un uomo, ritenendolo responsabile del reato di cui all’articolo 591 del codice penale. L’imputato era il nipote di una anziana inabilitata di cui si era fatto volontariamente carico, di concerto con il tutore e con l’autorizzazione del giudice tutelare. Nonostante ciò, l’uomo non l’accudiva, tanto che la donna veniva poi soccorsa dal Servizio Sociale del Comune "che la trovava ricoverata in un magazzino privo di riscaldamento, versante in condizioni igieniche pessime e di scarsa nutrizione ed incapace di deambulare autonomamente nonché di provvedere a sé stessa", come si legge nella sentenza.

L’imputato ha deciso di fare ricorso presso la Corte di Cassazione. L’uomo, infatti, affermava che egli non non aveva alcuna posizione di garanzia rispetto alla zia, visto che era stata affidata a un tutore che, tuttavia, "si era sempre disinteressato di tale ufficio, costringendolo ad un compito di supplenza, cui aveva provveduto con le proprie esigue risorse". In più, con il secondo motivo, denunciava l’illogicità della motivazione in relazione alle prove che avevano dimostrato che "potesse a stento assicurare a sé stesso e alla propria famiglia condizioni di vita dignitosa".

La decisione della Corte di Cassazione

Secondo la Corte di Cassazione il ricorso è inammissibile. I giudici affermano che il primo motivo dell’uomo è inammissibile, in quanto ribadisce che, rispetto al concetto di “cura”, quello di “custodia” dell’articolo 591 del codice penale "può sorgere non solo per l’adempimento di un obbligo giuridico formale, ma anche per la spontanea assunzione da parte del soggetto agente o per effetto di una mera situazione di fatto". Per questo, sanciscono gli ermellini "deve riconoscersi che l’odierno imputato, essendosi fatto volontariamente carico, di concerto con il tutore e con l’autorizzazione del giudice tutelare, dell’assistenza dell’anziana zia - della quale percepiva a tal fine metà della pensione sociale -, ed avendone, perciò, assunto la custodia, era investito di una posizione di garanzia rispetto al bene giuridico della sicurezza della persona fisica di TF, la quale non era in condizione di provvedere autonomamente alla sua salvaguardia".

La Corte, inoltre, riprendendo una precedente sentenza, ricorda che la "condotta di “abbandono” resta integrata da qualunque azione od omissione, contrastante con il dovere giuridico di cura o di custodia, che grava sul soggetto agente e da cui derivi uno stato di pericolo, anche meramente potenziale, per la vita o per l’incolumità del soggetto passivo". Nel caso del secondo motivo, invece, i giudici affermano che la questione è già stata vagliata e disattesa dai giudici di merito.

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