Le stabili convivenze come titolo di legittimazione processuale

Il sistema processuale penale modifica i suoi istituti in relazione al crescente valore nei rapporti sociali delle forme di convivenza fondate su duraturi affetti.

4 APR 2016 · Tempo di lettura: min.
Le stabili convivenze come titolo di legittimazione processuale

La sentenza n. 12742 della I Sezione Penale della Corte Suprema (1/12/15 -29.03.2016), con Presidente dott. Siotto e Relatore dott. Cairo, ha sancito che anche un convivente di una persona offesa, deceduta per reato commesso di cui si occupa il procedimento penale nel quale viene richiesta l'archiviazione, possiede la legittimazione a poter proporre opposizione avverso la richiesta di archiviazione e, poi, a poter ricorrere innanzi al Giudice di legittimità avverso il decreto di archiviazione.

Si sono immediatamente diffusi commenti che non sembrano comprendere la logica del procedimento decisorio della Corte Suprema, abbandonandosi da un lato a richiamare la sentenza come un evento rivoluzionario e dall'altro ad enfatizzare il ruolo del convivente, indicato anche in alcuni commenti come more uxorio, come se fosse l'unico soggetto a godere di tale legittimazione, evidentemente sulla scia del dibattito e del confronto che negli ultimi tempi hanno riguardato le "unioni civili".

Peraltro è sembrato che in alcuni commenti volesse farsi intendere che, in ogni caso, parenti e conviventi della persona offesa defunta possano proporre opposizione alla richiesta di archiviazione, quando sia defunta la persona offesa.

Tale ultima lettura è evidentemente del tutto erronea e fuorviante, in quanto, così come espressamente recita l'art 90 n. 3 del codice di rito penale, la facoltà di poter proporre opposizione all'archiviazione, in caso di morte della persona offesa, è riservata ad altri soggetti soltanto quando la "persona offesa sia deceduta in conseguenza del reato".

Quindi, sia chiaro, soltanto in casi di omicidi, dolosi o colposi che siano, o anche di stragi o altri eventi catastrofici che abbiano prodotto la perdita della vita della persona offesa.

Le facoltà processuali di cui si discorre sono quindi delimitate e parametrate dai chiari e insuperabili confini definiti dal comma n. 3 dell'art. 90 del codice di procedura penale.

L'orientamento ormai consolidato della Suprema Corte (cfr. sentenza Perri del 19.10.1994 della III Sezione, Fiordalisi del 19.7.1996 della VI Sezione, Aiazzone del 23.01.2004 della II Sezione nonché la sentenza del 02.07.2007 della V Sezione e la sentenza n. 7043 del 13.02.2013 della II Sezione) ritiene che i diritti processuali della persona offesa, in caso di suo decesso, non si trasmettano agli eredi, né ad altri, potendosi trasmettere agli eredi soltanto i diritti e le facoltà dei soggetti che in vita si siano costituiti parte civile, per la continuazione dell'esercizio dell'azione civile nel processo penale.

E la sentenza del 23.03.2016 non modifica, in alcun modo, il predetto orientamento della Suprema Corte.

Naturalmente potrebbe proporsi un caso particolare – che non pare ancora mai esaminato dalla giurisprudenza – qualora la persona offesa in vita conferisca una idonea procura speciale a poter proporre opposizione ad una richiesta di archiviazione (si pensi, ad esempio ad un soggetto diffamato, che versi in gravi condizioni di salute, che voglia conferire tale potere al proprio figlio), nel qual caso potrebbe ritenersi valida la opposizione, specie se la procura speciale fosse stata conferita dopo la conoscenza della richiesta di archiviazione e prima della scadenza dei termini per proporre opposizione.

Sul contenuto ritenuto rivoluzionario della sentenza del 29.3.2016, che ha riconosciuto ad un convivente more uxorio di una vittima di un omicidio la facoltà di poter proporre opposizione all'archiviazione, deve rilevarsi che la Corte Suprema ha semplicemente compiuto opera di corretto governo ed esatta applicazione dell'art. 1 del D.lgs del 15.12.15 n. 212, che ha modificato il comma 3 dell'art. 90 c.p.p., che riconosceva tale facoltà soltanto ai prossimi congiunti del defunto, estendendola anche a qualunque "persona alla medesima legata da relazione affettiva e con essa stabilmente convivente", fra cui certamente non possono che farsi rientrare anche i conviventi more uxorio.

Francamente, è apparsa anche ridondante la motivazione della Suprema Corte, quando si è soffermata ad esaminare come nel diritto penale e nel diritto processuale penale abbia via via assunto una rilevanza sempre maggiore quella dei conviventi, richiamando la loro facoltà di astenersi dal deporre nei processi penali; la rilevanza dei loro redditi in relazione al patrocinio a spese dello Stato; la estensione nei loro confronti della non punibilità per alcuni reati, procedibili a querela, contro il patrimonio; la non punibilità per attività di assistenza ai partecipi di cospirazione o di banda armata, etc. etc., richiamando anche le sentenze della CEDU del 13.6.1979 ( Merckx / Belgio) e del 13.12.07 ( Emonet / Svizzera).

Invero forse non era neanche necessaria la dotta ed analitica ricostruzione storica compiuta dalla cennata sentenza, in quanto, a dire il vero, non pare che potesse sussistere alcun dubbio a far rientrare un convivente more uxorio nel novero dei soggetti legati da relazione affettiva e stabilmente conviventi con la persona offesa poi defunta.

Piuttosto altro pare essere il tema, questo sì francamente rivoluzionario, introdotto dalla novella normazione di cui al D.lgs del 15.12.2015 n. 212: per la prima volta nella storia del diritto processuale penale, la legittimazione processuale viene riconosciuta, non in ragione di un mero rapporto familiare oppure in ragione della qualità di erede, bensì in ragione di uno stabile rapporto affettivo e di convivenza, quale titolo di successione nei diritti e nelle facoltà esercitabili dal defunto, categoria giuridica precedentemente sconosciuta.

Qui è la radicale modificazione introdotta nel codice di rito penale, che certamente manifesta un nuovo orientamento culturale, che tende a valorizzare, anche negli istituti processuali, il valore degli affetti stabilmente consolidati in rapporti di convivenza.

Vi è solo da aggiungere che tale ampliamento non riguarda soltanto i conviventi more uxorio ma ogni altra convivenza stabile fondata su rapporti affettivi, quali possono essere quelli che si stabiliscono anche fra amici, fra familiari, fra colleghi, fra soggetti legati da rapporti sentimentali, anche di tipo platonico, che non abbiano caratteristiche di similitudine ai rapporti matrimoniali.

Nuove frontiere si aprono alla scienza ed alla pratica del diritto: è importante che i teorici ed i pratici del diritto sappiano cogliere le nuove opportunità, non restringendole soltanto ad alcune categorie di soggetti ma valorizzandole in relazione al tema valoriale della convivenza duratura fondata su solidi legami affettivi.

Il nuovo si apre non per introdurre nuovi privilegi ma per abbattere i muri del privilegio.

Scritto da

Avv. Alfredo Guarino

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