Attribuzioni patrimoniali in favore del convivente more uxorio

Attribuzioni patrimoniali in favore del convivente more uxorio: stipula di contratti di convivenza, ex art. 1, co. 50 legge n. 76/2016

28 GIU 2018 · Tempo di lettura: min.
Attribuzioni patrimoniali in favore del convivente more uxorio

Le attribuzioni patrimoniali effettuate in favore del convivente more uxorio sono riconducibili alla disciplina di cuiall'art. 2034 c.c., dunque, alle obbligazioni naturali per cui vale la regola della soluti retentio. Sono, in altre parole, irripetibili.

Orientamento prevalente in giurisprudenza in materia di attribuzioni patrimoniali, effettuate in favore del convivente more uxorio durante il rapporto di convivenza, è che si tratta di obbligazioni naturali poste in essere spontaneamente in esecuzione di doveri morali o sociali, ex art. 2034 c.c., la cui ripetizione è esclusa, a condizione che siano rispettati i principi di proporzionalità e di adeguatezza (così, ex multis,Cass. civ., sez. I, sent. n. 1266/2016).

Il giudice di legittimità, nella pronuncia n. 1277/2014, ha statuito che:

"eventuali contribuzioni di un convivente all'altro vanno intese, invero, come adempimenti che la coscienza sociale ritiene doverosi nell'ambito di un consolidato rapporto affettivo che non può non implicare, pur senza la cogenza giuridica di cui all'art. 143, comma 2, cc, forme di collaborazione e di assistenza morale e materiale" (Cass. civ., sez. I, sent. n. 1277 2014).

La conclusione a cui è giunta la giurisprudenza prende le mosse dalla qualificazione della convivenza di fatto come formazione sociale in cui si svolge la personalità dei conviventi che assume rilievo ai sensidell'art. 2 Cost., presentante significative analogie con la famiglia formatasi nell'ambito di un legame matrimoniale.

Dunque, nella convivenza more uxorio non trova applicazione l'art. 143, co.2 c.c., che sancisce i diritti e i doveri dei coniugi, e le elargizioni patrimoniali effettuate nel corso della relazione sentimentale non saranno ripetibili, purché non siano realizzate a esclusivo arricchimento del partner e al di là di un rapporto di proporzionalità tra quanto esborsato e i doveri assunti reciprocamente dalle parti.

Le attribuzioni fra conviventi, infatti, nell'ambito della convivenza more uxorio - intendendosi per tale quella connotata da stabilità, continuità e regolarità - non sono dovute ex lege poiché non scaturenti dall'obbligo di mantenimento reciproco in base alle proprie capacità lavorative, come accade nel rapporto di coniugio, bensì sono imputabili ad un semplice legame di affetto e solidarietà.

Tali attribuzioni, salvo il caso in cui provengano da persona incapace, ex art. 2034 co. 1 c.c., non sono, in aggiunta, inquadrabili nell'istituto dell'ingiustificato arricchimento in capo a chi ne ha beneficiato, ex. art 2041 c.c..

La giurisprudenza ammette, al termine di un periodo di convivenza more uxorio, la possibilità di stabilire a favore del partner, che ha svolto verso l'altro prestazioni che esulano dai normali doveri materiali e morali, quale il lavoro domestico, un compenso economico il cui assolvimento non dà luogo a risarcimento alcuno, trattandosi, come già affermato, di obbligazione ex art. 2034 c.c., conformemente al dettato costituzionale di cui all'art. 2 Cost. (Cass. civ., sez. I, sent. n. 1266/2016).

L'art. 1, co. 50 della legge n. 76 del 2016 prevede, oggi, la possibilità per i conviventi di fatto di disciplinare i rapporti patrimoniali relativi alla loro vita in comune attraverso la stipula di contratti di convivenza.

Per "conviventi di fatto", ai fini dell'applicazione della disciplina di cui ai commi da 37 a 67 della leg. cit., si intendono, ex art. 1, co. 36 della stessa normativa, "due persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità, adozione, da matrimonio o da un'unione civile". Da tale definizione è possibile rilevare comeil legislatore abbia positivizzato la nozione di <<convivenza di fatto>> coniata dalla giurisprudenza maggioritaria.

I conviventi di fatto, stante la sussistenza dei requisiti di cui all'art. 1, co. 36 l. n. 76/2016 accertati attraverso la dichiarazione anagrafica ex art. 4 leg. cit. e art. 13, co. 1,lett. b) del regolamento di cui al D.P.R. n. 223/1989, nella redazione dei contratti di convivenza devono rispettare i requisiti di forma prescritti dalla legge ad substantiam. Si tratta della redazione degli stessi in forma scritta, a pena di nullità, con atto pubblico o scrittura privata con sottoscrizione autenticata da un notaio o da un avvocato che ne attestano la conformità alle norme imperative e all'ordine pubblico.

Il contratto di convivenza, ex art.1, co. 53, lett. b) e c) leg. cit., può prevedere le modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune, in relazione alle sostanze e alle capacità di lavoro professionale o casalingo, nonché la scelta del regime patrimoniale della comunione dei beni, di cui alla sezione III, capo VI, titolo VI del libro primo del codice civile. Regime che può essere modificato in qualunque momento durante la convivenza.

La previsione della stipula di contratti di convivenzain ordine alle modalità di contribuzione alle necessità della vita in comune in relazione alle sostanze e alle capacità di lavoro professionale e casalingo di ciascun convivente, fa sorgere in capo agli stessi un obbligo giuridico analogo a quello previsto dall'art. 143 c.c.; tuttavia, nella convivenza more uxorio tale obbligo sorge su volere delle parti, nel rapporto di coniugio su disposizione della legge. A dispetto della formula di cui all'art. 143, co. 3 c.c., secondo cui << entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia>>, l'art. 1, co. 53 l. n. 76/2016 sancisce la possibilità per i conviventi di stabilire le << modalità di contribuzione>> il cui obbligo sorge solo in seguito alla stipula del contratto secondo le formalità prescritte.

L'obbligo scaturente da tale accordo, in presenza delle condizioni soggettive e di forma richieste dalla legge n. 76/2016, non dà origine ad una obbligazione naturale, ma ad una obbligazione ex art. 1173 c.c., tutelata dall'ordinamento giuridico.

Il contratto di convivenza si risolve per accordo delle parti, recesso unilaterale, matrimonio o unione civile tra i conviventi o tra un convivente ed altra persona e morte di una delle parti.

L'art. 1, co.65 l. n. 76/2016 prevede, in caso di cessazione della convivenza di fatto, il diritto del convivente, su provvedimento del giudice, di ricevere dall'altro gli alimenti qualora versi in stato di bisogno e non sia in grado di provvedere al proprio mantenimento. La disposizione ricalca, in parte,la formula dell'art. 156, co. 3 c.c. in combinato disposto con l'art. 438, co.1, c.c., ad eccezione della natura temporanea di tale obbligo proporzionato al periodo di durata della convivenza, anziché alla cessazione dello stato di bisogno.

La ratio della legge n. 76/2016 pare, a giudizio di chi scrive, coincidere con la necessità di introdurre una tutela giuridica dei conviventi - stante la casistica sviluppatasi in materia - simile a quella contemplata per i coniugi; il legislatore, tuttavia, ha posto al centro del rapporto di convivenza l'autonomia contrattuale delle parti, ex art. 1174 c.c., fermo restando il rispetto delle norme imperative e dell'ordine pubblico, in conformità a quanto previsto dall'art. 1343 c.c. in materia di nullità del contratto per illiceità della causa.

Significativa, in tal senso, è la qualificazione dei conviventi, nella stipula di tali accordi, come contraenti, ai sensi dell'art. 1, co. 64 legge n. 76/2016.

Avv. Maria ALBANESE

Scritto da

Studio legale Avv. Maria Albanese

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