La verità sulla trattenuta del 2,5% sulla "buonuscita"

L'analisi del tortuoso percorso giurisprudenziale e legislativo per chiarirci le idee sulla legittimità (o illegittimità) della trattenuta del 2,50 % sulla buonuscita dei pubblici dipendenti

19 APR 2017 · Tempo di lettura: min.
La verità sulla trattenuta del 2,5% sulla "buonuscita"

Da qualche settimana è tornata sotto la luce dei riflettori la questione della illegittimità della trattenuta del 2,50 % sulla "buonuscita" posta a carico dei lavoratori dipendenti di amministrazioni pubbliche. Si sta assistendo ad una propaganda di ricorsi tesi a chiedere ai Giudici del lavoro la condanna delle Amministrazioni pubbliche alla restituzione di quanto avrebbero indebitamente trattenuto.

È bene fare il punto della situazione e descrivere l'evoluzione giuridica e legislativa che ha per protagonista il Tfr. Si premette che sulla questione di cui si dibatte sono intervenute numerose pronunce di Tribunali a conforto della tesi dell'illegittimità della trattenuta del 2,50% ed altrettante pronunce a sostegno della tesi contraria, ossia della legittimità della trattenuta in esame.

Innanzitutto per iniziare a chiarire la faccenda si deve specificare l'esistenza di due regimi atti a regolare la percezione della cosiddetta buonuscita:

  • al personale assunto fino al 31.12.2000 si applica la disciplina del Tfd (trattamento di fine servizio disciplinato dal DPR 1032/1973);
  • al personale assunto successivamente al 31.12.2000 si applica il regime del TFR (trattamento di fine rapporto regolato dall'art. 2120 cc).

La disciplina dei due regimi presenta enormi differenze

Il trattamento di fine servizio (regolato dal DPR 1032 del 1973) prevede la corresponsione di un importo pari all'80% dell'ultima retribuzione percepita dal lavoratore moltiplicata per gli anni di servizio. Questo sistema è finanziato - tra l'altro - da un contributo del 9.60% sull'80% della retribuzione lorda a carico dell'Amministrazione di appartenenza, con diritto da parte della amministrazione stessa di rivalersi sul dipendente del 2,50% di tale importo.

Il Tfr (regolato dall'art. 2120 c.c.), prevede invece che venga accantonata al 31 dicembre di ogni anno una quota pari e comunque non superiore all'importo della retribuzione dovuta per l'anno stesso divisa per 13,5, alla quale va aggiunta la rivalutazione dell'importo accantonato l'anno precedente. L'importo del TFR così calcolato è a totale carico del datore di lavoro nella misura del 6,91% della retribuzione.

Specificata la differenza tra i due regimi, diamo ora contezza del percorso legislativo. Fino al 31 dicembre 2000 esisteva un solo regime, ossia quello del TFS.

Poi il D.P.C.M. del 20 dicembre 1999 ha disposto per i dipendenti pubblici assunti a tempo indeterminato a partire dal 31 dicembre 2000 il passaggio dal TFS al TFR (regolato, come abbiamo detto, dall'art. 2120 c.c.).

Veniva quindi ad esistenza una diversità di regime:

  • per i dipendenti pubblici assunti ante 2001 vigeva i Tfs,
  • per gli assunti post 2001 invece il Tfr.

Nel 2010 è intervenuto il d.l. nr. 78/2010, convertito in legge nr. 122/2010, il quale con l'art. 12, comma 10 ha disposto che, con effetto sulle anzianità contributive maturate a decorrere dal 1 gennaio 2011, il computo dei trattamenti di fine servizio, per i dipendenti pubblici non sottoposti al regime del TFR, si effettuava secondo le regole del 2120 c.c., con conseguente applicazione dell'aliquota del 6.91%.

Tuttavia sulla scorta del fatto che detta disposizione nel determinare l'applicazione dell'aliquota del 6.91 %, nulla aveva specificato in ordine alla vigenza o meno della trattenuta del 2,50%, le Amministrazioni pubbliche continuavano comunque ad applicare la trattenuta del 2,50% della base contributiva di cui all'art. 37, comma i, del D.P.R. 29 dicembre 1973, n. 1032.

È intervenuta allora la Corte Costituzionale, la quale, con la sentenza n. 223 del 2012, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 12, comma 10, del di nr. 78/2010, nella parte in cui non escludeva l'applicazione della predetta rivalsa del 2,50%. La Corte ha definito irragionevole l'applicazione del 6,91 % sull'intera retribuzione, senza che nel contempo fosse esclusa la vigenza della trattenuta a carico del dipendente pari al 2,50% della base contributiva della buonuscita operata a titolo di rivalsa sull'accantonamento per l'indennità di buonuscita.

Per dare attuazione alla sentenza della Corte Costituzionale è stato quindi emanato il d.l. nr. 185/2012, il quale ha abrogato la norma dichiarata incostituzionale, con sostanziale ripristino del regime del TFS. Per amore di precisione specifichiamo che decreto legge 185/2012 non veniva convertito, ma i suoi effetti venivano fatti salvi dalla legge nr. 228 del 2012. L'art. 1, commi 98 e 99 della legge 228/2012 nel confermare l'abrogazione dell'art. 12, comma 10 del d.l. nr. 78/2010, ha quindi ripristinato il precedente regime del TFS per i dipendenti pubblici.

Sicchè dal 2012 il quadro è diventato il seguente:

  • per i dipendenti pubblici assunti prima del 2001 è stato ripristinato il regime del TFS disciplinato dal DPR 1032/1973;
  • ai dipendenti pubblici assunti dopo il 2001 si applica la disciplina del TFR in applicazione del DPR 20 dicembre 1999.

Anche questa legge è stata sottoposta al vaglio della Corte Costituzionale che con sentenza nr. 244/2014 ha dichiarato non fondata la questione di legittimità costituzionale. Tra gli altri due sono i passaggi della sentenza di maggiore interesse.

In primo luogo il giudice a quo ha ritenuto che "il ripristino del precedente regime del Tfs per i dipendenti pubblici reintroduce una disparità di trattamento tra i dipendenti pubblici assunti prima del 2001 (per i quali è stato ripristinato il Tfs) e quelli assunti dopo il 2001 (per i quali è in vigore la disciplina del Tfr)".

La Corte di legittimità ha ritenuto non sussistente la denunciata violazione a sostegno della legittimità della norma sottoposta al vaglio di costituzionalità ha affermato che "il TFS è diverso e normalmente migliore rispetto al Tfr disciplinato dall'art. 2120, per cui il fatto che il dipendente – che (in conseguenza del ripristinato regime ex art. 37 del d.p.r. 1032/1973) ha diritto all'indennità di buonuscita - partecipi al suo finanziamento con il contributo del 2,50% (sull'80% della sua retribuzione), non integra un'irragionevole disparità di trattamento rispetto al dipendente che ha diritto al Tfr".

In secondo luogo la Corte si è espressa sulla ritenuta disparità di trattamento tra coloro che (prima della entrata in vigore della legge 228/2012) avevano adito l'autorità giudiziaria ottenendo una sentenza favorevole alla restituzione del prelievo forzoso del 2,50% e coloro che ancora non lo hanno adito ovvero che in questo momento sono sub iudice. Ebbene la Corte non ha ritenuto illegittima la disparità di trattamento tra i dipendenti che hanno ottenuto (con sentenza passata in giudicato) la restituzione del 2,50% (restituzione divenuta indebita a seguito della legge 228/2012 che ha abrogato l'art. 12, comma 10 del d.l. 78/2010) e quelli che non l'hanno ottenuta per il sopravvenuto ripristino del TFS, trattandosi dell'inevitabile conseguenza della successione di diverse disposizioni normative e del principio generale di intangibilità del giudicato.

Sulla scorta del descritto stato dei fatti si evidenzia che è massiccio il numero di sentenze dei Tribunali italiani che continuano a rigettare le domande dei lavoratori tese a fare dichiarare la illegittimità della trattenuta del 2,50% sull'80% della retribuzione lorda a far data dal 2001 con conseguente condanna delle amministrazioni resistenti alla restituzione delle somme trattenute. Sicchè a fronte di organizzazioni sindacali che sponsorizzano azioni legali per il recupero della trattenuta, ce ne sono altrettante che dissuadono i propri iscritti dall'iniziare azioni che potrebbero avere un scontato esito infausto.

Scritto da

Anonimo-166016

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