Donna infastidisce l’ex e sua moglie: è stalking

La Corte d'appello di Roma si era basata sia sulle testimonianze delle vittime sia sui testi delle email inviate dall'imputata.

13 APR 2017 · Tempo di lettura: min.
Donna infastidisce l’ex e sua moglie: è stalking

Messaggi e chiamate telefoniche insistenti possono essere definite stalking? Ecco cosa ha deciso la Corte di Cassazione.

Una decisione della Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna una donna che molestava insistentemente il suo ex e l'attuale moglie attraverso messaggi e mail. Ma cosa s'intende per stalking? In Italia, il reato di stalking è stato introdotto dal decreto legislativo 11/2009, trasformatosi poi nella legge n. 38/2009. Questa norma ha permesso l'inserimento dell'articolo 612-bis all'interno del Codice Penale sui cosiddetti "atti discriminatori":

"Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotta reiterata, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l'incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita".

Il caso e la sentenza della Corte di Cassazione

Una donna è stata accusata di stalking nei confronti del suo ex, con cui aveva avuto una relazione sentimentale diversi anni prima. Inizialmente, le molestie sono state effettuate attraverso il telefono fisso, costringendo l'uomo a cambiare il numero di telefono. In seguito, la donna ha continuato a molestare e minacciare direttamente, e poi attraverso un'altra persona, con numerose email. Questa situazione ha provocato gravi conseguenze sulla vita dell'ex e della sua attuale moglie, creando un grande stato d'ansia nelle vittime. L'imputata, inoltre, era già stata condannata per lesioni gravissime alla moglie del suo ex.

Precedentemente alla sentenza della Corte di Cassazione, la Corte d'appello di Roma si era basata sia sulle testimonianze delle vittime sia sui testi delle email inviate dall'imputata. Da parte sua, invece, la donna, pur non negando le mail, aveva affermato che la ragione delle ripetute chiamate e messaggi era un debito che l'ex aveva contratto con lei. Tuttavia non sono state apportate prove di questo debito, e l'imputata era stata condannata secondo l'art. 612 bis, comma 2, del Codice Penale.

La donna ha poi fatto ricorso presso la Corte di Cassazione, spiegando che precedentemente non era stato presa in considerazione la sua capacità totale di intendere e di volere causato dalla sua malattia, il morbo di Alzheimer. Nonostante ciò, la Corte di Cassazione, quinta sezione penale, nella sentenza n. 17793/2017, ha rigettato il ricorso, confermando la condanna. I giudici, infatti hanno ritenuto attendibile la testimonianza della vittima e le prove scritte. La donna, inoltre, non aveva negato le molestie attraverso email e telefono e non era stata in grado di provare l'esistenza del debito.

Secondo la perizia d'ufficio, infatti, la donna si era resa perfettamente conto di quello che stava facendo, tanto da poter trovare una ragione che giustificasse le molestie verso il suo ex e sua moglie. La ricorrente, dunque, era completamente consapevole del danno che stava arrecando alle vittime.

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