Casa coniugale: stop all’assegnazione se il figlio va via

La Corte d'Appello aveva revocato l'assegnazione della casa coniugale dopo che la figlia era andata via per vivere con la famiglia del suo ragazzo e per intraprendere gli studi universitari

8 AGO 2019 · Tempo di lettura: min.
Casa coniugale: stop all’assegnazione se il figlio va via

In sede giudiziale, l’assegnazione della casa coniugale, durante una separazione, è un provvedimento che non serve a tutelare il coniuge bensì a tutelare l’interesse dei figli della coppia. Cosa succede se i figli vanno via di casa? Cosa succede in merito all’assegnazione della casa coniugale? Su questo tema si è espressa la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 16134/2019.

Innanzitutto, va ricordato che il primo comma dell’articolo 337 sexies del Codice civile sancisce che: “Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli. Dell'assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l'eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l'assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell'articolo 2643”.

La vicenda

Il Tribunale di Roma aveva respinto la richiesta di un uomo, SC, per ottenere la revoca dell’assegnazione della casa coniugale di Roma a LS, la sua ex moglie, in revisione delle condizioni di divorzio stabilite nel 2010. Il giudice della Corte d’Appello di Roma, invece, aveva accolto la richiesta dell’uomo, in quanto le “risultanze istruttorie inducevano ad una valutazione opposta […] nel senso di disvelare una organizzazione di vita della figlia del reclamante in termini di autonomia rispetto ai genitori, anche se non dal punto di vista economico, tale da far ritenere reciso il legame con la casa familiare”.

La decisione della Corte di Cassazione

Durante il processo è emesso che la figlia era iscritta a un corso universitario talmente assorbente da non consentirle il rientro a Roma, se non durante le vacanze natalizie, pasquali ed estive. Secondo la donna, però, il criterio della prevalenza temporale e quindi dell’effettiva presenza presso la casa coniugale non terrebbe in adeguata considerazione il diritto di studiare lontano dalla città di residenza, ritenuto altamente formativo per i ragazzi, così come riconosciuto dal MIUR e quindi dissonante con “l’evoluzione del mondo contemporaneo”.

Nonostante ciò, la Corte di Cassazione ha ritenuto che queste argomentazioni non prendano in considerazione quanto affermato dalla Corte d’Appello, secondo cui MC, figlia dei coniugi, ha “consapevolmente reciso il legame con la casa familiare, intesa quale ambiente domestico necessario a garantire nella quotidianità qui riferimenti affettivi utili e di sostegno ad una crescita serena, in quanto comprensibilmente mossa dalla possibilità di una comunanza di vita con il fidanzato”. La ragazza, infatti, già prima della frequentazione universitaria, dal 2014 si era trasferita a Rovigo per vivere nella casa della famiglia del proprio ragazzo, costruendosi, dunque, un autonomo habitat domestico distinto da quello originario, facendo venire meno il presupposto dell’assegnazione della casa coniugale.

Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha deciso di rigettare il ricorso della donna in quanto la limitata presenza a Roma di MC era derivata sì da motivi di studio ma soprattutto da una scelta di vita.

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